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Cambiamenti climatici: serve una posizione forte per Parigi 2015

Cambiamenti climatici: serve una posizione forte per Parigi 2015

Ormai sembra chiaro a tutti che il cambiamento climatico rappresenta la più grande sfida politica, economica e sociale che la comunità internazionale è chiamata ad affrontare nei prossimi decenni.

Ne abbiamo parlato oggi con il ministro dell’ambiente Gianluca Galletti, che rappresenterà l’Italia alla Cop-21 dell’UNFCCC. La Convenzione quadro è una convenzione universale, che riconosce l’esistenza dei cambiamenti climatici di origine antropica e assegna ai paesi industrializzati la maggior parte della responsabilità di combatterla. La Conferenza delle Parti (COP), costituita da tutti gli Stati Parti, è il supremo organo decisionale della Convenzione. La 21a COP si terrà a Parigi nel dicembre 2015 (30 novembre – 11 dicembre). L’obiettivo è il raggiungimento di un accordo per il mantenimento del riscaldamento globale entro i 2° C al di sopra della temperatura media pre-industriale attraverso la stabilizzazione delle concentrazioni di gas serra nell’atmosfera.

Molti governi che parteciperanno alla conferenza riconoscono i gravi rischi causati dai cambiamenti climatici, ma hanno anche bisogno di affrontare preoccupazioni più immediate come occupazione, competitività e povertà.

Tuttavia i cambiamenti strutturali e tecnologici che stanno avvenendo nell’economia globale e le opportunità di una maggiore efficienza economica offrono l’occasione di ripensare radicalmente i modelli di produzione e consumo. Il capitale per gli investimenti necessari è disponibile, il potenziale di innovazione è vasto, ciò che manca al momento è una forte leadership politica e delle politiche credibili e coerenti.

Nei prossimi 15 anni l’economia mondiale crescerà di oltre la metà, un miliardo di persone in più verranno a vivere in città, il rapido avanzamento tecnologico continuerà a cambiare le imprese e la vita. Circa 100,000 miliardi di dollari verranno probabilmente investiti in infrastrutture nei sistemi urbani, energetici e di uso del suolo. Il modo in cui questi cambiamenti saranno gestiti darà forma ai futuri modelli di sviluppo.

I prossimi 15 anni di investimenti determineranno anche il futuro del sistema climatico mondiale. Il cambiamento climatico causato dalle emissioni di gas serra del passato sta già avendo gravi conseguenze economiche, specialmente nelle aree più esposte del mondo. Senza un’azione più forte nei prossimi 10-15 anni, che porti le emissioni globali a rallentare e poi ridursi, è pressochè certo che il riscaldamento globale medio supererà i 2°C, il livello che la comunità internazionale ha concordato di non superare. Seguendo la tendenza attuale, il riscaldamento potrebbe superare i 4°C entro la fine del secolo, con effetti estremi e potenzialmente irreversibili. Accumulando concentrazioni di gas serra ed impegnando investimento in attività ad alta intensità di carbonio, il ritardo nella riduzione delle emissioni rende progressivamente più costoso il passaggio ad un’economia a basso tenore di carbonio.

La futura crescita economica non ha bisogno di copiare il modello del passato, ad alta intensità di carbonio ed iniquo. Esiste un enorme potenziale nell’investire in maggiore efficienza, in una trasformazione strutturale e nell’innovazione tecnologica.

Inoltre, secondo l’ultimo rapporto dell’IPCC, a livello globale, l’Italia è uno dei paesi maggiormente esposti alle conseguenze nefaste dei cambiamenti climatici. Per questo motivo abbiamo chiesto con decisione al ministro Galletti di esprimere una posizione forte durate i negoziati di Parigi che riguardi sia gli obiettivi globali di riduzione delle emissioni sia gli strumenti multilaterali da mettere in campo per il loro raggiungimento.

Abbiamo discusso a lungo della riforma dell’ETS (emission trading system) sistema che regola il mercato dei crediti di emissione. Abbiamo inoltre parlato della contabilizzazione delle emissioni causate dalle attività attualmente escluse dall’ETS e del ruolo del settore agricolo.

I cambiamenti climatici riguardano tutti e per questo motivo abbiamo bisogno di una governance globale che orienti gli sforzi e produca il più ampio consenso possibile.

In vista della Conferenza di Parigi, i ministri degli Esteri dell’UE hanno approvato, il 19 gennaio 2015, un piano d’azione diplomatico in materia di clima, elaborato congiuntamente dal servizio europeo per l’azione esterna e dalla Commissione. Il piano prevede finalmente di porre i cambiamenti climatici al centro dei dialoghi politici, in particolare in occasione delle riunioni del G7 e del G20, nonché all’Assemblea generale delle Nazioni Unite; di sostenere uno sviluppo a basse emissioni e resiliente ai cambiamenti climatici e alle catastrofi attraverso la cooperazione allo sviluppo dell’UE; di collegare il cambiamento climatico alle sue potenziali conseguenze a lungo termine, ivi compresi i problemi di sicurezza.

Con tale piano la Commissione punta a far guadagnare gradualmente consensi alla posizione dell’UE e a stringere alleanze con partner internazionali in prospettiva della conferenza di Parigi.  Infine, per migliorare la comprensione reciproca dei contributi di tutte le parti ai negoziati, sta valutando l’opportunità di organizzare una conferenza internazionale prima di Parigi.

Appare quindi evidente che segnali politici a lungo termine credibili e coerenti sono cruciali. Il percorso di crescita e sviluppo di un passaggio ad un’economia a basso carbonio e resiliente ai cambiamenti climatici non sarà facile e i governi dovranno impegnarsi per una transizione equa. Non tutte le politiche climatiche sono vantaggiose per tutti, ed alcuni compromessi sono inevitabili, soprattutto nel breve periodo. Sebbene molti posti di lavoro saranno creati, e ci saranno mercati più grandi e profitti per molte aziende, alcuni posti di lavoro saranno persi, soprattutto nei settori ad alta intensità di carbonio. I costi umani ed economici della transizione devono essere gestiti attraverso il sostegno per i lavoratori sfollati, le comunità colpite e le famiglie a basso reddito. Saranno necessari una forte leadership politica e la partecipazione attiva della società civile, insieme a decisioni aziendali lungimiranti ed illuminate.

Abbiamo pertanto di fronte a noi un bivio: seguire la strada vecchia – continuando a sussidiare le energie fossili, a bruciare i rifiuti, a cementificare il suolo – che sappiamo ci porterà al disastro economico e sociale, oppure seguire la strada nuova – investire in innovazione, nelle energie rinnovabili, nella cura del territorio – che può condurci invece a realizzare quella conversione dei modelli di produzione e di consumo ormai non più rinviabile.

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