Guai ad utilizzare le immagini ed i racconti di una tragedia, al solo scopo di alimentare il dibattito politico. Il nostro però è il Paese che non impara mai, né da sé stesso né dai propri errori, per questo sento il dovere di affrontare l’argomento. Di parlare di ciò che è successo la scorsa settimana in Italia. Di come il maltempo abbia spazzato via vite e sconvolto paesaggi.
La lezione impartitaci ha nei numeri il bilancio di una strage.
Per questo motivo abbiamo il dovere di impararla per bene, questa volta. Le macro questioni da affrontare, con tutte le loro declinazioni e sfaccettature, sono essenzialmente due: dissesto idrogeologico e cambiamento climatico.
In Italia il 91% dei Comuni, secondo i dati ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), è a rischio dissesto idrogeologico. Capire chi deve fare qualcosa è una missione spesso resa impossibile dal continuo e fastidioso rimpallo di responsabilità fra enti, nonché da una groviglio di norme e burocrazia incapace di rispondere ad alcuna esigenza. Oggi il presidente del Consiglio nazionale dei geologi, dalle pagine de “La Stampa” invocava una sorta di piano Marshall per il dissesto idrogeologico. Il ministro dell’Ambiente Sergio Costa ha recentemente avviato un Piano di manutenzione sul rischio idrogeologico: subito disponibili 50 milioni di euro dalle casse del Ministero dell’Ambiente, per interventi di rimboscamento, recupero naturalistico e manutenzioni opere idrauliche e forestali. Il Piano manutenzione 2018 rientra in una programmazione più ampia che prevederà ulteriori e ingenti risorse da investire nel prossimo triennio, quasi un miliardo di euro, fino ad una spesa complessiva di oltre 6 miliardi di euro in 9 anni. Misure concrete che segnano una decisa rottura con un passato fatto di disinteresse e incuria. Il precedente ministro dell’Ambiente, quello del governo degli annunci, aveva promesso miliardi, salvo poi limitarsi a stanziare qualche milione qua e là (per approfondire leggi qua).
La questione però non riguarda solo chi ci governa. Spesso siamo noi a metterci in pericolo da soli. Conosciamo bene i rischi, anche se c’è chi si ostina a negarli, ma non interveniamo, anzi. In Calabria ad esempio la Regione, tramite un decreto del 2017, ha impedito di abbattere immobili abusivi. Questo perché un sindaco che abbatte le case è molto meno popolare di uno che le costruisce (poco importa se magari lo fa vicino al fiume) così come è impopolare un sindaco che chiude le scuole, blocca il transito dei veicoli su un ponte o sotto ad un sottopasso.
L’ultimo aspetto riguarda l’impreparazione. Difficilmente, quasi mai, un ente insegna come comportarsi per affrontare situazioni come una violenta e prolungata precipitazione. Sappiamo cosa fare in caso di incendio, ma se piove continuiamo a prendere la macchina o a imboccare sottopassi.
Il secondo macro tema riguarda gli effetti del cambiamento climatico.
Effetti a noi molto più vicini di quanto pensiamo o di quanto possa pensare chi ancora si ostina a sostenere si tratti di un’invenzione. Gli eventi della scorsa settimana, dalle onde anomale che hanno invaso i porti della Liguria, ai fiumi che hanno portato via famiglie in Sicilia, passando per le foreste devastate di Veneto e Trentino, sono sì da considerarsi eventi estremi, ma non più eccezionali. Se falliremo, se non riusciremo a rispettare l’obiettivo del contenimento dell’incremento delle temperature su scala globale entro 1,5°, queste calamità diventeranno all’ordine del giorno, costringendoci ad affrontare conseguenze per le quali ancora non abbiamo una soluzione.
Manca un minuto a mezzanotte e in molti ancora rifiutano di affrontare il problema. Ridurre le emissioni di Co2 fino allo zero, incentivare l’utilizzo delle energie rinnovabili, investire nel trasporto pubblico, dare finalmente il via ad un ciclo produttivo a rifiuti zero. Queste sono le strade da percorrere, se vogliamo davvero evitare di vivere sulla nostra pelle, nonché dei nostri figli, il peso di conseguenze ormai note, ma che non siamo nemmeno in grado di immaginare. Per questo motivo prima di tutto occorre parlarne fra di noi, raggiungere una consapevolezza che ci permetta di formare quella coscienza collettiva attraverso la quale vincere quella che, a tutti gli effetti sarà la battaglia della nostra generazione.