Passare dal lavoro tradizionale allo smart working è, come per tutte le rivoluzioni, qualcosa che stravolge la realtà a cui siamo abituati, che può toccare sfere da quella privata a quella economica.
Tuttavia, è un cambiamento necessario, direi dovuto, per moltissime categorie di lavoratori. Nell’era tecnologica in cui ci troviamo, che senso ha costringere un lavoratore a ore di auto, traffico, smog, per arrivare in un posto di lavoro in cui tutto ciò che utilizza è una connessione internet e un pc, proprio come avrebbe fatto da casa?
C’è chi dice che è difficile, chi pensa agli esercenti attorno ai posti di lavoro. Ecco, su quest’ultimo aspetto, riflettiamo sul fatto che non è una diminuzione dell’economia, ma una circolazione: se sono nel mio paese a lavorare, mangerò e spenderò in quella zona; c’è anche chi abita dove un altro lavora e quindi entrando in smart working tornerà a spendere nel suo quartiere, e così via, magari anche col tempo facendo crescere le periferie.
Discutiamo delle modalità, stabiliamo i tempi, valutiamo le categorie di lavoratori, ma facciamolo.
La pandemia, almeno in questo, ci aveva permesso di sperimentare già il lavoro agile, di entrare in questa nuova concezione di lavoro, tornare indietro non ha senso.
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